Dalai Lama, resta aperto il conflitto con la Cina per la successione
Continua la “guerra alla successione” del Dalai Lama tra Cina e Tibet. Stavolta l’affronto arriva da Hong Lei, portavoce del ministro degli Esteri cinese, che in risposta al discorso tenuto da Tenzin Gyatso in occasione dell’undicesima conferenza delle quattro scuole principali di buddhismo tenutasi il 22-24 settembre a Dharamsala, in India, ha voluto ribadire che se il Tibet scegliesse il successore senza il parere della Cina sarebbe un atto “illegale”.
Da anni la Cina sta tentando di estendere il controllo sul Tibet anche alla scelte dal successore della guida spirituale tibetana, rendendola addirittura un “diritto”. Intanto il Tibet resta uno tra i paesi al mondo dove i diritti umani fondamentali continuano ad essere negati, in nome di questa libertà violata sono proprio giovani monaci buddhisti a immolarsi per la causa. Proprio la settimana scorsa altri due di loro si sono dati fuoco. Il Fatto Quotidiano, in un articolo del 28 settembre, ricostruisce bene il quadro.
Ma il Dalai Lama, 76 anni compiuti lo scorso luglio, non cede ai desideri della Cina. Proprio in occasione della conferenza di fine settembre, ha dichiarato pubblicamente in un documento che non ha nessuna intenzione di lasciare la guida spirituale della comunità tibetana e si sente pronto ad andare avanti ancora per 15 anni.
La procedura che riguarda la successione del Dalai Lama, ha detto Tenzin Gyatso, sarà resa nota in occasione del suo novantesimo compleanno.
"È in mio potere e diritto decidere la mia reincarnazione - ha spiegato il Dalai Lama - e l'ultima parola spetta a me e non alla Cina". Alcuni hanno interpretato queste parole come la possibilità di cambiare il corso della storia introducendo la modalità dell’elezione del successore da parte del Dalai Lama al posto della selezione da parte dei monaci tibetani.
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